Una minuziosa pulitura restaurativa riporta nella Chiesa Cattedrale di Pisciotta il percorso di croce e dolore del Figlio di Dio. Scandito nelle canoniche 14 tappe, ciascuna cristallizzata in un’icona a sé, tale iter merita un’attenzione artistica fitta di citazioni e alfabeti simbolici che ne omaggiano la potenza spirituale.
Premesso che le nostre tavole della Via Crucis provengono da una bottega di Laurito e che ne esiste una copia fedele nel Museo Diocesano di Vallo della Lucania, esse, nella loro umile condizione di prodotti settecenteschi provinciali “non di autore” condensano una libertà espressiva e una pluralità di registri di forte impatto comunicativo. Il non appartenere a una specifica corrente o filone ne fa un assemblage inedito di voci, citazioni….spingendo la visione della Passione sul ciglio dell’irriverenza.
Mentre l’Arte dei grandi pittori campani del tempo si dipana tra le luminescenze di Luca Giordano e i più cupi bilanciamenti del Maestro Solimena, qui si assiste a un ritorno, a un avvolgimento del nastro temporale, a un salto pre-Caravaggio che vuol negare verosimiglianza, naturalismo, senso delle proporzioni, canoni di bellezza.
Vi scorgo un taglio violentemente manierista, che fa eco a Polidoro di Caravaggio e lambisce, nelle mode militaresche delle guardie, firme come lo spagnolo Pedro Machuca.
Ciò che appare deforme, sbilanciato e irregolare acquista un profondo perché, soprattutto in un’epoca di analfabetismo diffuso in cui le immagini catechizzavano le folle.
Quasi tutte le tavole, seppur prive di impalcature prospettiche, si muovono su direttrici oblique che segnano la posizione della croce e finanche le posture dei corpi: è un chiaro espediente per esasperare l’effetto caduta/squilibrio del Cristo sofferente. Un cadere che sfugge al contingente episodio umano della vittima per trasformarsi in un vortice universale di scompensi morali palesati in asimmetrie estetiche.
Lo stesso effetto trapela dall’estremo contrasto tra le anatomie muscolose e tornite dei soldati dalle armature sfavillanti e le ampie tuniche “incorporee” che avvolgono Cristo e i suoi seguaci: è la forza bruta che si impone sulla spiritualità, la materia che tenta di sovrastare l’anima….la Legge della parvenza sul Dogma dell’Essenza Vera.
Trionfo di questo processo visivo è la Tavola della Deposizione, in cui il livore scuro della composizione crea una scrittura di poche linee essenziali entro cui la drammatica scena è più il frutto di percezione indotta che di lettura evidente. In un semicerchio affollato che rammenta – paradossalmente – una scena presepiale, si consuma lo strazio di uomini e donne ai limiti della differenza. Non più volti, ma maschere mostruose imbruttite dall’onta del peccato, dalla brutalità del male inflitto senza pietà!
Mascheroni che fissano, inespressivi e bloccati nello spazio e nel tempo, i singulti di un pianto materno che nulla o nessuno affrancherà.
TELE PRIMA DEL RESTAURO
TELE RESTAURATE